marco massari

IL BRACCIO DESTRO DELLA TUA IMPRESA

Mi chiamo Marco e nella vita faccio l’aiutante, e nello specifico l’aiutante degli imprenditori.

Lo so, sarebbe molto più “in” dire che sono un “consulente d’azienda”, ma in realtà non sono uno che si limita a dispensare consigli: mi piace tirarmi su le maniche, e dare una mano concreta. Che poi serva a “prendere per mano” i titolari d’azienda per accompagnarli in parte del tragitto, o che invece si renda necessaria per “tirarli fuori dalla melma” (chiamiamola melma dai…), poco importa. Una mano è una mano, e spesso serve anche per dare (figurativamente parlando) una carezza di conforto nei momenti di difficoltà, o una spinta in quelli in cui manca il coraggio. 

 

Mi dicono che “ci metto il cuore” in quello che faccio, e devo dire che mi riconosco in questa descrizione. 

 

Sono uno che bada poco alla forma. Mi vedrete di rado con la cravatta, perché per far bene il mio lavoro non mi piace sentirmi “strozzare” da una specie di coloratissimo cappio al collo. Tantomeno mi ammirerete coi “completi”, perché devo dare un aiuto concreto e lavorare, mica andare a una sfilata di moda. 

 

Sono laureato sì, ma non ci tengo che mi chiamiate “dottore” e che mi diate del lei o del voi, anzi possiamo passare subito al “tu” se volete, il che non significa mancanza di rispetto; a questo ci tengo tantissimo e deve essere reciproco, semplicemente però credo che le barriere formali si possano tranquillamente saltare, per andare al “sodo” e alla sostanza. Importantissimo, invece, è che siate persone serie ed oneste: truffe, “giochini”, scatole cinesi, paradisi fiscali e così via non fanno parte del mio repertorio, e questo deve essere chiarissimo fin da subito. Se faremo un pranzo di lavoro, portatemi in trattoria, dove si mangia bene e abbondante: per carità, evitiamo come la peste i luoghi “gourmet” col cameriere in smoking e le porzioni da Puffi, altrimenti mi viene un pessimo umore e divento improduttivo. 

 

Perché faccio questo mestiere? Ah, questa è una bella domanda. Se proprio devo essere sincero, nella vita volevo fare il musicista rock, e per tanti anni ci ho anche provato seriamente! Come per una specie di sdoppiamento della personalità però, sono stato anche uno studente modello. Quando ero davvero molto piccolo, prima di entrare alle elementari, i miei mi dissero che la scuola era una cosa serissima, e che dovevo dare il massimo: probabilmente presi fin troppo sul serio questa richiesta! In realtà la scuola, inizialmente, non mi piaceva neppure, studiavo per essere “Il migliore” ed effettivamente ci riuscivo, ma allo stesso tempo non mi tiravo mai indietro quando c’era da aiutare un compagno in difficoltà: questo gli insegnanti me l’hanno sempre riconosciuto, e devo dire che quando me lo scrivevano in pagella mi riempivano d’orgoglio. Crescendo, mi sono appassionato sempre più allo studio, e quando sono approdato a ragioneria mi sono letteralmente innamorato delle materie tecniche! Il mio essere un po’ “doppio” continuava: da un lato, la letteratura rimaneva una mia enorme passione (quanti libri ho letto!), dall’altro rimanevo sempre più affascinato dal linguaggio dei numeri, dalla “partita doppia” e dai bilanci aziendali. Ovviamente, persistevo nella mia missione di aiutare il prossimo, dunque pur essendo tecnicamente “un secchione”, ero amatissimo dai compagni di classe! Passavo i compiti, suggerivo, anche se preferibilmente cercavo di spiegare le cose per fare imparare qualcosa; non sempre ci riuscivo, ma almeno tentavo. 

 

Terminata ragioneria, ecco il momento di scegliere “cosa fare da grande”: il dilemma era se partire per l’Inghilterra con la chitarra in spalla, cercare un lavoro da lavapiatti e tentare fortuna nel mondo della musica, oppure iscrivermi all’università. Non scherzo, ci ho pensato davvero, e per un po’ ho proteso per la prima delle soluzioni. Una mattina, poi, mi sono svegliato e mi sono ritrovato a pensare che, forse, questa università non sarebbe stata poi tanto male. Lo so, sarebbe stato più eroico inseguire i sogni di rock n’ roll, ma devo dire che sono estremamente contento della scelta che ho fatto! 

 

Una volta laureato, ho aperto la partita iva e ho iniziato a collaborare con un’azienda di consulenza aziendale, rimanendo in questo lavoro un paio d’anni e ottenendo, sinceramente, un bel po’ di soddisfazioni. Un giorno però, guardando in buchetta mi ritrovai fra le mani una lettera di una banca che mi invitava ad una grande selezione a Bologna, riguardante l’intero territorio dell’Emilia Romagna: devo dire la verità, non volevo assolutamente entrare in banca, ma ho provato, un po’ per gioco e un po’ come sfida con me stesso, fatto sta che a questa selezione sono risultato primo (non lo dico per “tirarmela”, ma per raccontare i fatti!). Mi hanno offerto un posto da gestore di aziende e ho accettato. Alla fine, in banca ci sono rimasto dieci anni, arrivando a fare il vicedirettore di filiale e avendo sempre a che fare con i clienti-imprese. Poi, ho deciso di licenziarmi, e di mettermi in proprio. 

 

“Sei matto?”, mi dicevano. “Hai un posto in banca e te ne vai?”. A parte il fatto che avere un posto in banca oggi non è mica il privilegio di venti o trent’anni fa, non ero assolutamente impazzito: semplicemente, mi ero reso conto che tanto, col cuore, stavo dalla parte delle aziende, mica del mio datore di lavoro, dunque era più coerente saltare la barricata. Non fraintendetemi: sono stato un bravo dipendente, me lo riconoscono tutti, ho vinto dei premi e sono stato inserito in percorsi professionali davvero prestigiosi, ma alla fine non ero felice. Questa insoddisfazione dipendeva soprattutto dal rendermi conto che VEDEVO i problemi delle imprese, ma NON POTEVO aiutarle davvero. Quando parlavo con un imprenditore, a cui magari avevo dovuto negare un fido per disposizioni “dall’alto”, avrei voluto dirgli “ma caspiterina (in realtà l’affermazione era più colorita), non capisci che devi fare così e così e poi ancora così e la tua azienda andrebbe meglio e il fido sarebbe concesso?”. Ma non potevo, non era il mio ruolo. Ed è per questo che ho deciso di prendermi i miei rischi, e mettermi totalmente dalla parte delle imprese. Non ho mai rimpianto quella scelta, e mai credo lo farò.