IL CASHBACK È ILLEGALE? IL CONTANTE PUÒ ESSERE ELIMINATO? – Eccoci a trattare questo spinoso argomento, sul quale tanti imprenditori hanno già avuto modo di polemizzare: sto parlando ovviamente del famigerato cashback, ovvero quel meccanismo per cui lo Stato si impegna a rimborsare una percentuale degli acquisti effettuati con bancomat o carte di credito in un determinato periodo di tempo. Non sto, ovviamente, qui a riportare regole e regoline, e nemmeno a descrivere il funzionamento della famigerata app “IO” che, per essere attivata, necessita di una procedura a dire il vero un po’ farraginosa, con tanto di identità digitale SPID obbligatoria. 

Una considerazione preliminare, di cui non interessa probabilmente a nessuno, riguarda il fatto che la prima cosa a cui io abbia pensato, sentendo il nome “cashback”, sia stato il brano dei Beatles “Get Back” e, da allora, io non sia riuscito a smettere di canticchiare “Cashback – Caskback – Cashback to where you one belonged” ogni volta che ne ho sentito parlare.

Ma è possibile che, in Italia, qualsiasi cosa debba essere denominata in inglese? Una buona fetta degli italiani non riesce nemmeno a pronunciare correttamente cashback, o quantomeno non ne conosce la traduzione esatta, figuriamoci come se la cava con l’app “IO”. 

A parte questo, credo che l’intento del legislatore risulti chiaro: la volontà è quella di premiare gli acquisti effettuati con mezzi di pagamento tracciabili, e di farlo anche con le transazioni di importo contenuto, visto che per ottenere il massimo del bonus bisogna strisciare la carta almeno 50 volte a semestre. E qui casca l’asino, nel senso che gran parte dei commercianti si è subito inalberata, e il motivo mi pare chiaro: a farsi pagare in contanti ci si guadagna, soprattutto se “ci si scorda” di fare lo scontrino fiscale. D’altronde, è piuttosto usuale, nei negozi, vedere cartelli con su scritto che “i pagamenti bancomat si accettano da un minimo di 10 euro” e cose simili. 

In realtà, questa mania dei commercianti di essere terrorizzati dalle transazioni di piccolo importo non ha un senso logico, visto che le commissioni su bancomat e carte di credito sono espresse in percentuale.
Giusto per fare un esempio, lo 0,50% su 1.000 euro non è diverso dallo 0,50% su 5 euro: si tratta della stessa piccola fetta di torta. Il ragionamento corretto, dunque, sarebbe da fare sulle singole categorie merceologiche, visto che ci sono soggetti, come i tabaccai e i benzinai, che hanno dei margini molto risicati sulle vendite, dunque è logico che, se guadagno un 4% (lordo) da una vendita, e devo dare il 3% ad American Express o Diners sulla transazione, un po’ mi girino le balle.

Da questo punto di vista, dunque, i commercianti hanno ragione: andrebbero fatte contrattazioni ad hoc, tra le associazioni di categoria, le banche e le società che emettono carte di pagamento, per concordare che, nei settori in cui le marginalità unitarie sono estremamente basse, le commissioni sulle transazioni POS debbano essere altrettanto ridotte al ribasso, in modo da preservare la redditività. Andrebbe, dunque, fatta un’opportuna discriminazione fra commercianti di questo tipo, che hanno un margine unitario bassissimo e devono dunque puntare su un’elevata quantità di vendite, ed altri che, al contrario, magari hanno un margine del 50% o superiore su ogni singola vendita, e dunque possono anche permettersi di pagare un 1% a Cartasì senza rimetterci le penne. 

Resta il fatto, però, che la motivazione PRINCIPALE che genera il mal di pancia agli esercenti sia proprio l’obbligo di fare lo scontrino, perché di altri grossi svantaggi, sinceramente, non ne vedo: ho anche fatto qualche indagine, avendo la conferma che i commercianti non hanno dovuto sborsare nulla per aderire al cashback, che è assolutamente automatico, viaggiando sui circuiti delle carte che già sono attivi solo per il fatto di avere un POS. Questo, a differenza di altre iniziative come, ad esempio, la “lotteria degli scontrini” che obbliga ad aggiornamenti sui registratori di cassa. 

Molto interessante, invece, è sapere che la Banca Centrale Europea non è assolutamente d’accordo con questo Cashback, come ho appreso leggendo “Il Sole 24 ore” del 7 gennaio 2021 (articolo di Carlo Garbarino).

La BCE, infatti, ha inviato all’Italia una “letteraccia” in cui ci ricorda che, prima di avviare il cashback, ci siamo “scordati” di inviare all’Europa un’informazione preventiva che sarebbe invece stata gradita, visto che la politica monetaria ormai si decide a livello europeo, e non dei singoli Stati. In sintesi, ci viene contestato questo: ok fare controlli fiscali, ci mancherebbe, l’evasione va contrastata, ma non è giusto che un singolo Stato, a questo scopo, disincentivi clamorosamente l’uso del contante, visto che l’euro è una moneta con “corso legale” europeo! Non si può, in sintesi, tentare di “cancellare” un mezzo di pagamento tradizionale per il quale non abbiamo più la “sovranità monetaria”. 

Lo scopo è, dunque, nobile, in quanto combattere l’evasione fiscale è fondamentale, ma per far questo non è possibile tentare di eliminare il contante, che certamente è il principale mezzo con cui il “nero” viene fatto! È un po’ come dire: ok cercare di prevenire il rischio di incendio, ma non possiamo smantellare il fuoco dalla faccia della terra, perché lo stesso ha anche delle innegabili utilità. 

È facile che questa rimanga una semplice “bacchettata” e che il cashback, almeno per un po’, rimanga, ma certamente la “letteraccia” della BCE crea un importante precedente, da estendersi ovviamente anche agli altri Stati membri: il contante, per ora, non si tocca, anche se per il fisco sarebbe, oggettivamente, molto comodo fare così!